Il custode di una memoria che non muore

L'albero di Natale di Raggiolo
Sono qui, al centro di questa piazza, immobile come un guardiano silenzioso. È inverno, e la mia chioma, adornata di fili luminosi, ondeggia appena al soffio del vento. Intorno a me, un deserto di pietra antica. La pieve, con la sua maestosa presenza, veglia su di me, silente e immutabile. Tutto è avvolto da un silenzio denso, solenne, quasi sacro. È il silenzio del bosco che, negli anni, ha ripreso i suoi spazi, insinuandosi tra le mura del borgo e le fortezze dimenticate dell’uomo.

Osservo tutto. È questo il mio compito: restare e osservare. Alcuni potrebbero pensare che io sia qui solo per tradizione, privo di pensieri, un ornamento destinato a durare poche settimane. Ma non è così. Io vedo, sento, ricordo. Porto dentro di me le storie di questo luogo, i sussurri di un tempo che sembra lontano, ma che vive ancora, nascosto tra le crepe delle case di pietra e i vicoli deserti.

A volte, quando il vento mi attraversa, è come se mi addormentassi. E allora sogno. Vedo bambini che corrono intorno a me, i piedi che scivolano sulla neve dura, le loro risate che si mescolano all’aria fredda. Vedo uomini con il volto segnato dal lavoro e dal gelo, che si fermano per augurarsi buone feste. E poi le donne, con le mani indaffarate e il profumo delle castagne che riempie la piazza. Sento canti, voci flebili ma gioiose. In quei momenti, la piazza si riempie di vita, di un calore che sfida persino l’inverno più rigido.

Ma poi scosso da una ventata, torno vigile e tutto svanisce. Ritorno al presente, e la solitudine mi assale. La piazza è vuota, e io mi sento inutile, con le mie luci che brillano nel vuoto. Passano poche persone, rapide, distratte, con lo sguardo basso. Eppure, nei loro occhi scorgo un riflesso: un frammento di malinconia, forse il ricordo di ciò che questa piazza è stata un tempo.

Ricordo il giorno in cui mi hanno portato qui. Erano in tanti, allegri, con le mani piene di decorazioni e luci. Ridevano, parlavano, si scattavano foto attorno a me. Mi sentivo importante, parte di qualcosa di vivo. Guardavo le case intorno, pensando che fossero piene di persone, di storie, di vita quotidiana. Era solo un’illusione.

A volte mi domando se servo davvero a qualcosa. Mi sento fragile, come se il mio scopo fosse vano. Ma poi, qualcosa accade. Nel silenzio, mentre il vento scende dal bosco, sento un’energia diversa. È sottile, ma potente. Mi attraversa e mi ricorda che non sono solo.

C’è un legame invisibile che mi tiene in piedi, che mi dà senso. Io lo sento: ci sono persone, lontane, sparse in luoghi remoti, che pensano a questa piazza, a me, a Raggiolo. Sono persone che hanno lasciato il borgo tanto tempo fa, ma che non hanno mai davvero smesso di appartenergli. Portano con sé il ricordo di queste montagne, di queste pietre, del profumo del bosco. Altre non sono neanche nate qui, ma sentono ugualmente di essere legati a queste pietre. Io sono il simbolo di quel legame.

Ogni luce che porto addosso è una storia, un pensiero, un ricordo. E quelle voci arrivano a me, come fili di energia che attraversano il tempo e lo spazio. Non vedo le loro mani, non sento i loro passi, ma li percepisco. Sono le loro radici, i loro antenati. Questa piazza è il loro punto d’origine, il centro di un mondo dove tutto converge.

E così, quando la notte cala e le mie luci iniziano a brillare, capisco che non sono solo. Certo, il vento continua a soffiare e il silenzio avvolge tutto. Ma dentro di me sento la presenza di chi non dimentica, di chi porta questo borgo nel cuore.

Non sono solo un albero di Natale. Sono un custode. Il custode di una memoria che non muore, di un legame che resiste al tempo. Un simbolo per chi, ovunque si trovi, continua a pensare che Raggiolo sia la sua casa.

E mentre le luci sui miei rami danzano nel buio, mi sento forte. Perché io sono Raggiolo. E Raggiolo vivrà per sempre, nel cuore di chi lo ama.

Autore: Maurizio Zacchi (Redazione TuttoRaggiolo)

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