Raggiolo, tra storia e satira: il filo d’erba e il bastone

Giornata dell'Armonia
Premessa

TuttoRaggiolo torna nuovamente sulla rappresentazione “La singolar tenzone tra il filo d’erba e il bastone”, messa in scena dalla Brigata di Raggiolo come spettacolo itinerante. Una produzione corale, nata da laboratori comunitari, che ha trasformato le strade e le piazze del borgo in un palcoscenico vivo, intrecciando storia, satira e allegoria. La natura itinerante della rappresentazione, pur affascinante e suggestiva, ha reso talvolta difficile coglierne i passaggi più significativi e i loro risvolti simbolici. Questo articolo intende quindi chiarire alcuni aspetti della commedia, evidenziandone i significati più profondi e i legami con la memoria storica del paese.
Ricordiamo che la drammaturgia è stata scritta da Aldo Milea, mentre la regia è stata curata da Ilaria Passeri.


Un borgo medievale e le sue ferite

Raggiolo, piccolo gioiello del Casentino, conserva ancora oggi le tracce delle sue origini medievali. Arroccato sui fianchi del Pratomagno e circondato da boschi di castagno, fu a lungo conteso tra le grandi famiglie toscane – Guidi, Ubertini, Tarlati – fino a legarsi alla Repubblica di Firenze nel Trecento. Ma al di là delle vicende feudali, il borgo è stato segnato da un conflitto interno che ha attraversato i secoli: la rivalità tra fabbri e pastori.

Il complotto dei Fabbri
Nel XIV secolo questa tensione sfociò in vere e proprie faide di sangue. I fabbri, radicati e socialmente
riconosciuti, difendevano il loro ruolo di custodi delle arti del ferro e delle risorse del bosco; i pastori, spesso migranti o transumanti, reclamavano pascoli e dignità in un sistema che li guardava con sospetto. Ne nacquero agguati, vendette familiari, scontri per il controllo dei terreni. Una ferita profonda che la comunità avrebbe sanato solo nei secoli successivi, quando nuovi equilibri economici e sociali imposero la convivenza.


Dalla memoria storica alla scena

È proprio da questa memoria che prende vita la commedia “La singolar tenzone tra il filo d’erba e il bastone”, uno spettacolo che trasfigura le antiche lotte in chiave allegorica e satirica. Ambientata in un futuro post-apocalittico, dopo un “Infausto Evento” che ha cancellato le tecnologie moderne, l’opera mette in scena due clan contrapposti: i fabbri, decaduti ma ancora arroccati al potere, e i pastori, vitali, migranti, legati alla natura e al sostentamento.

L'incendio nel villaggio dei Pastori
La commedia alterna registri comici e grotteschi: insulti dialettali, reliquie del passato (come un tostapane elevato a cimelio archeologico), cerimonie ipocrite e processi farsa. Dietro l’ironia si nascondono domande profonde: cosa significa comunità? Come si esercita il potere? Quale posto occupano i “migranti” in una società che proclama armonia ma coltiva sospetti?


L’ipocrisia del potere

Uno degli aspetti più taglienti dell’opera è la denuncia delle dinamiche del potere e delle sue ipocrisie. Emblematica è la Giornata mondiale dell’Armonia, celebrata con discorsi solenni e concilianti dal capo dei Fabbri, Remigio Rossi: parole che invocano fratellanza e rispetto, ma che subito si dissolvono lasciando spazio a insulti, rancori mai sopiti e complotti orditi nell’ombra.

La stessa ipocrisia si incarna nel Magistrato, caricatura del potere istituzionale. Più preoccupato dei suoi impegni “ludici” che della giustizia, emette sentenze capovolgendo accuse e assoluzioni con leggerezza, trasformando il processo in una farsa.

Ma il ribaltamento non porta alcun riscatto: quando il vento gira, anche i pastori trionfanti, guidati dal loro capo Lodovico, si rivelano non migliori dei loro avversari. Proclamano libertà e giustizia, ma già pianificano nuove sopraffazioni e abusi.

È in questo contesto che emerge la figura di Oliviero, giovane migrante, che decide di imporsi con la

Oliviero uccide Lodovico
forza: uccide nel sonno il capo dei pastori e prende il potere. Dopo l’esecuzione spietata, sarà proprio lui a celebrare la nuova Giornata mondiale dell’Armonia con lo stesso discorso armonioso e conciliante dei suoi predecessori.

Questo finale può essere letto in due modi. Da un lato, Oliviero appare come il filo conduttore della vicenda: un osservatore silenzioso e onnipresente che, dopo aver assistito alle ipocrisie e alle sopraffazioni di entrambi i clan, matura la decisione di compiere un atto rivoluzionario per spezzare il ciclo e ripartire da capo, aprendo la possibilità di un cambiamento.
Dall’altro, in una lettura più disincantata, il suo gesto non fa che perpetuare lo schema eterno del potere, che si rinnova senza mai trasformarsi davvero. In questa prospettiva la commedia si rivela una satira feroce, mostrando come in ogni epoca il potere sappia mascherarsi con ideali puri mentre prepara nuove forme di prevaricazione: una lezione potente, che mette in guardia contro il rischio che ogni “armonia proclamata” non sia che un fragile velo steso sopra conflitti irrisolti e ambizioni di dominio.


Una favola nera attuale

Il borgo medievale di Raggiolo diventa così un palcoscenico universale: le antiche faide tra fabbri e pastori rivivono come metafora dei conflitti contemporanei, dalle tensioni sociali alle migrazioni, dalla disuguaglianza economica alla fragilità delle istituzioni.

La singolar tenzone è molto più di una commedia paesana: è una favola nera che ci invita a guardare negli occhi l’eterna alternanza tra chi detiene il bastone e chi stringe un filo d’erba, ricordandoci che l’armonia proclamata può essere solo un fragile velo sopra le discordie del vivere umano.

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Descrizione delle scene

Scena 1 – La Giornata mondiale dell’Armonia
La piazza di Raggiolo è teatro della cerimonia ufficiale: il capo dei Fabbri, Remigio Rossi, pronuncia un discorso solenne in nome della fratellanza. In questa giornata, e solo in questa, agli abitanti è concesso di liberarsi dalle ostilità reciproche urlando i propri insulti all’interno del “Cilindro della fratellanza”. Un rito paradossale che, invece di unire, rivela tensioni e rancori mai sopiti. Alla fine, tra musica e banchetti, si apre la festa: ma l’armonia proclamata mostra già tutte le crepe della sua fragilità e della sua ipocrisia.

Scena 2 – La tavolata contesa
Pastori e fabbri siedono insieme a una lunga tavola. La pace formale si incrina quando si scopre che un castagno è stato tagliato. Scatta una lite aspra, con accuse reciproche. I pastori abbandonano il banchetto tra insulti, mentre Oliviero rimane nascosto sotto il tavolo, testimone involontario dei rancori dei fabbri.
Rimasti soli, i fabbri divorano gli avanzi e riversano tutto il loro disprezzo contro i pastori: li accusano di essere sfaticati, vagabondi, persino clandestini. Remigio dichiara che averli accolti è stato un errore.

Scena 3 – L’accampamento dei pastori
Nelle loro capanne, le donne pastore si lamentano delle ingiustizie subite dai fabbri. Tra ironie e rabbia, emergono la frustrazione e la voglia di ribellione. Lodovico, capo dei pastori, le sprona: “Ancora per poco comanderanno loro”. Ma anche qui serpeggia un desiderio di dominio. Oliviero, silenzioso, osserva i simboli del potere custoditi da Lodovico.
All’alba, fabbri e pastori tornano a insultarsi: i primi accusano le pecore di disturbare, i secondi rinfacciano il clangore delle incudini. È lo scontro tra erba e ferro, natura e industria.

Scena 4 – I pastori al pascolo
Tra canti e fatica, i pastori lamentano la scarsità di erba. Lodovico li invita alla pazienza: il momento della rivalsa arriverà. La loro voglia di supremazia emerge con forza.

Scena 5 – La crisi dei fabbri
Nella fucina i fabbri lavorano freneticamente, ma ammettono la loro decadenza: senza minerale, i loro strumenti valgono poco, mentre i pastori prosperano. Mariangela osa pronunciare la parola proibita “remigrazione”. Remigio propone di accusare i pastori inventando prove.

Scena 6 – Il complotto dei fabbri
Di notte i fabbri progettano un piano: travestirsi da lupi per far fuggire le pecore e, mentre i pastori le inseguono, incendiare una delle loro case. Nei loro discorsi emerge più cupidigia che giustizia: vogliono depredare i pastori di tesori e reliquie. Oliviero, nascosto, ascolta atterrito.

Scena 7 – L’attacco notturno
I pastori festeggiano con cibo e vino. Nel frattempo i fabbri mettono in atto il piano: travestiti da lupi, fanno fuggire le pecore e appiccano un incendio nella casa di Angela Maria Torchiafava. I pastori si precipitano a cercare gli animali, mentre Oliviero assiste impotente.

Scena 8 – L’incendio e le accuse
Fabbri e pastori si aiutano a spegnere le fiamme, ma subito scatta il gioco delle colpe. Remigio accusa i pastori di aver acceso fuochi clandestini, promettendo di chiamare il magistrato. Le tensioni esplodono.

Scena 9 – Il processo del Magistrato
Entra in scena il Magistrato Delli Fabbri, caricatura di un potere corrotto e distratto. Senza prove, si affida alle parole dei fabbri e condanna i pastori all’esilio. Ma Oliviero interviene: smaschera l’inganno, mostra la pelliccia da lupo usata da Mariangela e il tostapane trafugato. Colti in fallo, i fabbri sono condannati all’esilio, e Lodovico, capo dei pastori, è proclamato nuovo Rettore.

Scena 10 – Il trionfo e la caduta
I pastori festeggiano sguaiatamente la vittoria, gridando “Erba libera!”. Ma l’armonia dura poco: nella notte Oliviero, ormai disilluso, soffoca nel sonno il capo dei pastori, Lodovico. Un atto crudele che sancisce la sua ascesa al potere.

Scena 11 – La nuova Giornata dell’Armonia
Oliviero, divenuto nuovo capo e Rettore, celebra la successiva Giornata mondiale dell’Armonia. Con le stesse parole dei predecessori invoca pace e fratellanza, perpetuando il ciclo di ipocrisia e violenza. Lo spettacolo si chiude con un’amara ironia: ogni potere, anche quello nato dal riscatto, finisce per assomigliare a ciò che voleva abbattere.

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Le foto sono state realizzate con il contributo di software di Intelligenza Artificiale

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